Le Metafore del Cuore

Gerard de Lairesse, Illustrazione da Anatomia humani corporis di Govert Bidloo (1685)

Nel suo essere carnale il cuore possiede cavità, aperture, si presenta diviso per consentire qualcosa che alla coscienza dell’uomo non appare consono a ciò che è centro.

Esso tiene in moto col suo movimento. E possiede un dentro, una modesta casa, a immagine e somiglianza della quale, ci viene in mente, sono sorte le case che l’uomo è venuto abitando felicemente. La casa, la modesta casa a immagine del cuore, che consente la circolazione che chiede di essere percorsa, è già solo per questo luogo di libertà, di raccoglimento e non di detenzione. L’interno nel cuore carnale è alveo del fiume del sangue, in cui il sangue si divide e torna a unirsi con se stesso. Trovando così la propria ragion d’essere. La prima ragione della vita di quegli organismi che hanno sangue, profetizzata senza dubbio, come la vita nel suo insieme, a partire dalla sua penuria originaria. Giacché la vita appare quasi in incognito, senza alcuno sfarzo; la povera vita. E così ogni organismo vivo punta a possedere dentro di sé un vuoto, una cavità, vero spazio vitale, esito felice del suo assestarsi nello spazio che sembra voler conquistare solamente estendendosi, colonizzandolo, e che è solo un saggio del successivo possesso da parte di ogni essere vivente di uno spazio proprio, pura qualità: quella cavità, quel vuoto, che suggella, là dove appare, la conquista suprema della vita, l’apparire di un essere vivente.
___Un essere vivente che risulta tanto più “essere” quanto più ampio e qualificato è il vuoto che contiene. I vuoti dell’umano organismo carnale sono tutto un continente o meglio un arcipelago sostenuto dal cuore, centro che ospita il fluire della vita, non per trattenerlo, ma perché scorra in forma di danza, senza perdere il ritmo, avvicinandosi nella danza alla ragione che è vita. Un essere vivente che dirige dal didentro la sua propria vita a immagine reale della vita di un certo universo nel quale la conflagrazione non sarebbe possibile senza l’estinguersi di una ragione indelebile, di un passare e ripassare che si estingua, senza ragione. Ed essendo così, allora, la ragione originariamente vitale resta in sospeso, sospesa nell’illimitatezza.

Centro anche il cuore perché è l’unica cosa che manda un suono dal nostro essere. Altri centri devono esserci, ma non suonano. E poiché solo grazie ad esso i privilegiati organismi che lo hanno odono se stessi, ci immaginiamo che, in un grado o in un altro, tutti i viventi devono averlo, come privilegio e pena in cui si manifesta la bipolarità che schiude e attanaglia l’essere vivente.
___Quantunque non vi presti attenzione, l’uomo procede sostenuto in alto, a un certo livello, dall’incessante suonare del suo cuore. Gli basterebbe rimanere senza questo palpitare sonoro per sprofondare in una maggiore oscurità, per sentirsi più spaesato, più allo scoperto, come privato di una certa dimensione, o di un appello che determina di per se stesso la possibilità della sua esistenza.

Poiché il suono suo proprio, inalienabile, del quale l’uomo è portatore, è il suo ritmo iniziale, cadenza quando il tempo non viene trascorso nel vuoto o nella monotonia. Ma il ritmo da solo popola l’estensione del tempo e lo interiorizza, e così lo vivifica. E il cuore senza pause segna, senza che ciò debba passare per la percezione né per la controproducente volontà, la pausa in cui una situazione si estingue, dono del vuoto necessario al sorgere di quanto è lì in attesa di insignorirsi del volto del presente. E questa pausa impercettibile è un respiro per l’uomo, il quale avrebbe bisogno che questi respiri tra una situazione e l’altra per lievi che siano le loro differenze avessero maggiore ampiezza, e che spera sempre di ricominciare a vivere a partire dal semplice respirare; un respirare libero da ogni insidia, da ogni peso di passato come dal sapere e dal sentire il presente che arriva a prendere piede, per puro che questo presente sia, per affrancato che appaia. Perché attende il puro dono di essere senza sforzo alcuno. Il dono di essere assorbito nel dono della vita, essere e vita da niente separati e distinti, perché ogni pena discende dal fatto che all’uomo essere e vita si danno ancora più separatamente che a tutti gli altri esseri viventi che abitano il suo pianeta. Solo gli astri lontani, puri, gli forniranno, fin tanto che rimangano inaccessibili alla sua colonizzazione, l’immagine reale di un essere identico alla sua vita; innocente, come se fosse stato soltanto creato senza dover nascere.

È profeta il cuore, come ciò che essendo centro si trova su un confine, sempre in procinto di spingersi più in là di dove già si è spinto. E sul punto di prorompere a parlare, che il suo suono ripetuto si articoli in quegli istanti in cui quasi si arresta per riprendere fiato. Il nuovo che abita nell’uomo, la parola, ma non quelle che diciamo, o almeno come le diciamo, bensì una parola che sarebbe nuova solamente per il fatto di scaturire da sé, perché ci sorprenderebbe come l’albore della parola. Ma la parola che non arriva a uscire dal cuore non si perde, quella parola nuova nella quale il nuovo della parola risplenderebbe con chiarezza inestinguibile. La parola diafana, verginale, senza peccato di intelletto, né di volontà, né di memoria.

Rimane sordo e muto a volte, in particolari circostanze, il cuore. Si ritira rinchiudendosi in un impenetrabile silenzio o se ne va lontano. Lasciando in tal caso interamente il campo alle operazioni della mente che si svolgono così senza alcun sostegno, abbandonate a se stesse. C’è una linea impercettibile, un livello a partire dal quale il cuore comincia a sentirsi sommerso. A non incontrare resistenza intorno per mancanza di risposta alla sua incessante chiamata, dato che il suo battere è allo stesso tempo un chiamare. Di qui l’invocazione silenziosa, l’indicibile, che parte in una direzione indefinita, non di per sé, ma perché va oltre tutte le direzioni conosciute. Giacché è la mente abituale quella che fissa le direzioni, quella che stabilisce i punti cardinali lasciandoli senza significato. La mente discorsiva, la grande ordinatrice che tutto occulta.
___E nessuna direzione che le venga offerta dalla mente consueta può aprire la strada, a questa chiamata indicibile del cuore sommerso.
___E se la chiamata è indicibile è perché nessuna parola di quelle già dette fa al caso suo. Il che non significa che tra le parole che conosce non se ne trovi qualcuna o una sola che sia quella che indicibilmente cerca. Cerca un ascolto; ascoltare e che lo ascoltino senza rendersi conto, senza distinzione. E che la sua chiamata si perda nell’immensità dell’unica risposta.

Lo spazio interiore, anima, coscienza, campo immediato del nostro vivere, non è in verità a immagine dello spazio inerte, nel quale i fatti detti di coscienza si iscrivono e si associano come se giungessero da fuori. Al contrario, si è metaforicamente detto, quando questo spazio veniva chiamato anima o cuore, che è profondo, grande, ampio, immenso, oscuro, luminoso.

Il cuore è il vaso del dolore, può custodirlo per un certo tempo ma poi, inesorabilmente, in un attimo lo offre. Ed è allora calice che tutto l’essere della persona è tenuto a sorbirsi. E se lo fa lentamente con il dovuto coraggio, via via che esso si diffonde per le diverse zone dell’essere comincia a circolare con il dolore, mescolata ad esso, in esso, la ragione. Il rischio tante volte è che il dolore sia un fatto quasi accidentale. Che il dolore non abbia essenza, che sia stato ineludibile senza avere però né essenza né sostanza. Che non possa che star lì senza circolare. E che non circolando non possa davvero, invero, essere assimilato.

___Vaso e centro, il cuore, unitamente.
___Centro che si muove soffrendo e che ricettivo deve dare continuità, e nascosto’non può cessare di darsi. Ed essendo la sede del sentire, è centro attivo. Per esso passa il fiume della vita, cui deve imporre frequenza e ritmo. Passività attiva. Mediatore senza pausa. Schiavo che governa. Sottomesso al tempo, lo guida avvertendo del suo passaggio e del suo esaurimento, facendo presentire un aldilà rispetto al regno temporale che conosciamo, o meglio diamo per conosciuto.

Tutto passa per il cuore e tutto esso fa passare. Ma qualcosa ha da passare in esso che non scorra via col fiume della vita e del tempo che conosciamo.
___Qualcosa ha da venir facendosi nascostamente in quella sua oscurità, che in armonia col paradosso della legge che lo governa dovrebbe essere qualcosa di invulnerabile e luminoso.
___E così nell’attimo in cui rimanga del tutto quieto esso insieme si aprirà, dandosi intero. È ciò che sogna. Come tutto ciò che è rinchiuso, sogna il cuore di fuggirsene, come tutto ciò che è in catene, di liberarsi, anche a costo di strapparsi le carni. Come tutto quello che contiene qualcosa di prezioso, di spargerlo tutto in una volta. Mentre si sogna così, il cuore si reitera, e allora la sua catena è la violenza, che trascina più passivo che mai. Va cieco, lui che è l’unico che può portare la luce verso il basso, agli inferi dell’essere. Non potrà essere libero senza conoscersi. Paradossalmente, il cuore mediatore, che dispensa luce e visione, ha da conoscersi. Sarà questa la vera riflessione, il dialogo silenzioso della luce con chi l’accoglie e la soffre, con chi la conduce oltre l’anelito e il timore generatori dei sogni e delle fantasie dell’essere, dell’essere umano sottomesso al tempo che vuole attraversare? E il silenzioso dialogo della luce con l’oscurità in cui desidera germinare. Guscio il cuore, quando si conosce, che contiene e protegge l’embrione di luce. E allora anela ormai libero da timore a sviscerarsi e a sviscerare, a perdersi, a perdersi sempre più fino a identificarsi con il centro senza fine.

Cut-up da: Chiari del Bosco, di Maria Zambrano, trad. Carlo Ferrucci, Milano, Bruno Mondadori Editore, 2004

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