Epilogo in forma di fiaba ovvero La Casina nel Bosco

 James Ensor, L'Entrée du Christ à Bruxelles, 1888 (part.)

Sì, anche ad Ognuno accadde di smarrirsi nel fitto di una foresta una notte d’inverno, ed in quella fonda tenebra (gemeva la civetta, balenavano gli occhi gialli e circolari del gufo, lo sfiorava l’ala del pipistrello) egli miseramente incespicava fra tronco e tronco. E quando mai la sventura non raddoppia i suoi colpi, una volta che ti abbia afferrato? Ecco i primi muggiti del tuono, poi lo scrosciare dell’acquazzone sulle fronde e infine il sottobosco diventato un acquitrino. Madido, ansante nel buio, più volte Ognuno cadde e con lena sempre più scarsa si alzò, quando (oh celeste soccorso!) un vago lume gli apparve e quindi, nel cuore d’una radura, una casetta. Era salvo.
___Nessuno apriva. Continuò a bussare, ai colpi aggiunse le invocazioni, finché finalmente stridette il catenaccio e comparve una fanciulla. Come non reputarla soave? Né il tremito che scuoteva Ognuno, né gli occhi dilatati, né le macchie di sangue misto a fango sulle vesti stracciate dai triboli turbarono quel volto angelico (o spento, o forse impietrito). Con voce assai mesta ella sospirò: «E qui vorreste restare, pover’uomo? Non mi darete retta, vero? Non vi metterete in salvo?».
___«In salvo, io? Io? Scampato a quell’inferno, che cosa avrei ancora da fuggire?».
«Siete capitato dove l’orrore è più fosco che nella foresta».
«Dove ero per soccombere!».
«E credete che il vostro destino qui dentro sia per essere meno aspro?».
___«E via, che cosa mi racconti!» gridò Ognuno subitamente riscuotendosi, sperdendo con una risata quel funesto incanto. Rianimato dal tepore del bel fuoco divampante nel camino, sorrideva alla fanciulla, che tale ancora era, a dispetto del suo fare così tetro.
___«Vedo, è vostro destino. Restate dunque. Lasciate che v’aiuti». Beatrice (tale era il suo nome) lo rifocillò e ben presto egli si domandava se prima ella avesse voluto prendersi gioco di lui o non fosse piuttosto un poco, amabilmente, insensata; aveva steso una mano per accarezzarla, come a trasmettere un po’ del calore che gli andava penetrando le vene a quella gota di così gelido aspetto; ella indulgente e compassionevole sorrise, al tempo stesso che il braccio di lui s’irrigidiva a mezz’aria: un atroce, fioco e protratto gemito stava salendo interminabile dal sottosuolo.
___«Ecco qualcosa che potrebbe provenire dal vostro futuro» ella disse, mentre il sorriso le si spegneva.
___Beatrice indicò come, rimossa una certa assicella del pavimento, fosse possibile, schiacciando la faccia contro il suolo, scorgere lo stanzone interrato sottostante, e Ognuno vi potè discernere fra le tenebre un cantuccio illuminato dove un uomo simile a lui era disteso, mani e piedi in ceppi, sulla nuda terra. Accovacciato accanto gli teneva il capo teneramente fra le mani un vegliardo.
___Ballava tutt’attorno e si pavoneggiava un pagliaccio dal volto dipinto, una bombetta nera in testa, con addosso al corpo nudo una marsina troppo grande e tutta rattoppata; teneva in mano una tenaglia lorda di sangue e se la guardava ora da lungi ora da presso, fingendo di picchiarla, quindi con una capriola scomparve, sollevando un polverone, nel buio. Il vegliardo, con voce dolce e paterna, consolava il torturato:
___«Certo, comprendo, è doloroso abbandonare un’abitudine a cui si è attaccati, e l’abitudine alla quiete, dovremmo dire alla areattività e asensitività, è purtroppo assai forte. Ma rifletti, la quiete è anche vecchiaia, stasi, al limite: morte. Mai come nella sofferta e lucida inquietudine, nel fremito consapevole si è tormentosamente vivi e giovani, soffertamente protesi verso l’avvenire, disponibili all’esperienza inedita. Esperienza contestabile, quella del dolore? Sì, ma proprio perciò aperta alla speranza, al dialogo con la speranza».
___«No!» gridò il poverello in ceppi quando il pagliaccio riemerse nel cono di luce ed impugnò, facendogli boccacce, un nuovo arnese.
___«Ecco il tuo errore» corresse il vegliardo, con una punta d’irritazione nella voce, «codesto “no” gridato all’avvenire, codesto pessimismo. Coltiva in te stesso un atteggiamento di fiducia, di coraggio, pronuncia un giovanile “sì” al futuro senza aggrapparti a nostalgici ricordi di un passato protetto, tranquillo ma inerte. Certo, non si deve esagerare: nemmeno lui» agitò una mano giocosamente rimproverante al buffone, che fece finta di cadere fulminato, «ha ragione, perché vorrebbe incidere, amputare senza metodo. Ma sono due estremismi: il tuo, che pretende di lasciare tutto come sta, con i vecchi difetti e abusi, con l’immobilismo della tua sensitività priva di stimoli, ed il suo, che tutto osa mettere in discussione e sconvolgere. La via di mezzo è la vera: lasciati guidare senza superbia. Vedi: appena egli s’accosta, tu ti ritrai con ogni muscolo orgoglioso del tuo corpo, si sente che rifiuti l’incontro e manchi totalmente di carità verso di lui».
___«Maledetto!» urlò il torturato quando il pagliaccio gli diede una scossa elettrica. Subito il vegliardo intervenne: «Come hai osato? Carità! Carità! Che cosa siamo senza la carità? Cembali risuonanti! Come osi giudicare male un tuo fratello? Mettiamo pure che egli esageri, come mettere in dubbio la sua buonafede? Hai provato seriamente a comprenderlo?». Il buffone prese a torcersi le mani e a sbuffare come disperato. « Egli cerca in modo forse eccessivo, ma sincero. Cerca, e noi dobbiamo rimproverarci di non essere vicini a lui, di non amarlo abbastanza. Siamo noi davvero aperti a colui che è diverso? Che sta comunque pagando di persona il suo impegno? Puoi tu in buonafede negare che quanto egli fa ha un valore sicuro, se non altro di rottura dei vecchi schemi di rapporto? Che egli propone un progetto nuovo?».
___Di lassù non visto Ognuno era ormai orridamente affascinato, e le poche volte che staccò losguardo dalla feritoia s’accorse che Beatrice osservava senza muoversi la fiamma nel camino, come adusata da tempo immemoriale a quanto accadeva nel sottosuolo.
___Ognuno, tornato a guardare per la fatale fessura, scorse il buffone vellicare, nel mentre che cantava una lirica atonale, il piede destro del torturato con un piumino, mentre all’altro piede lentamente avvicinava un fiammifero acceso. «Brucio solo un ditino!» annunciò il pagliaccio imitando un dialetto settentrionale. Il poverello ebbe la forza di un altro urlo ed il vegliardo convenne: «Lo so, sono sacrifici, ma dopo averli accettatiti sentirai un altro, sarai più vivo: coinciderai meglio con te stesso, uomo fra gli uomini. Ti sentirai vicino ai sofferenti che forse per dolore fanno soffrire. Ti verrai liberando da tutte le sovrastrutture superflue, i diaframmi fra te e gli altri cadranno, bruciati in una grande vampata d’amore. Accetta tutto con socialità, senza rinchiuderti nel tuo individualismo sterile. Dobbiamo costantemente progredire verso nuove forme. Non ti va la parola progresso? Diciamo sviluppo. Vedi che ti vengo incontro. Il corpo come l’hai finora conosciuto non può continuare a esistere. Devi vincere l’idolatria delle sue forme, codesto fissismo. Moto, divenire costante e generoso, ecco la vera spiritualità, dobbiamo proiettarci in dimensioni sempre mutevoli. Chi ha detto che il tuo corpo deve restare così come l’hai conosciutofinora? Ecco una concezione da demistificare. La stella cui guardiamo, l’utopia e la speranza ci sollecitano ad un’invenzione costante di nuovi valori, ad una scelta inquieta e sofferta di sensazioni e possibilità nuove. Con tutto il rischio che questo comporta. Tu scambi l’accessorio e l’essenziale. Ora io non ti direi mai di sacrificare la sostanza, però non posso permettere l’estetismo, per cui ad esempio sono sicuro che esigi due orecchie, quando pure ne basta una. Perché questo segno di ostentazione? Perché due? Il tuo silenzio è la confessione del tuo irrazionalismo. Non essere dogmatico, cerca di capire spregiudicatamente le esigenze tormentate che, una volta liberato dai pregiudizi, ti appariranno soprattutto esaltanti. Dopo che ti avremo liberato dell’orecchia sinistra, ti abituerai benissimo e subito. Anche gl’impressionisti furono respinti a tutta prima! Non c’è possibilità che non debba essere assunta ed esplorata spregiudicatamente.Dopo ci sarà tutto un atteggiamento da scoprire, da creare, al di là delle convenzioni. Il mondo sarà da reinventare! ». Crocchiarono le cartilagini dell’orecchio fracassato nella morsa della grossa tenaglia: il pagliaccio era stato rapidissimo. Il torturato invero si lamentava, ma nuove parole andava esalando: « Forse ho avuto torto finora. Lo sviluppo, il progresso è inevitabile, guai a chiudersi, guai a non avere carità…».
___«Finalmente! » gridò il vegliardo « anche tu senti adesso la bellezza d’essere uomo fra gli uomini, al di là dei privilegi, anche di quello più pericoloso che ci fa sentire innocenti. Siamo tutti responsabili di tutto e soltanto sentendoci solidali con la colpa di tutti possiamo rispondere alla nostra vocazione di uomini umani. O ci si salva tutti insieme o niente. Prova a ripetere con me: “Voglio essere uomo fra gli uomini”. Ancora. Ancora. Senti come fa bene?».
___«E se avessero ragione loro?» disse Ognuno. Beatrice chinò la testa sospirando: «Ti è stato concesso di vedere ciò che ti aspetta. La bufera è cessata, l’alba tinge di rosa l’orizzonte, fra poco potrai riprendere il cammino guidato dal sole».
___«Ma se avessero ragione loro, guidati da una colonna di fumo nella caligine, da un sole nero, dalle dolorose forze della materia?».
___«E sia. Nel sottosuolo cerca dunque il tuo destino. Finora nessuno fra quanti ti hanno preceduto ha mai pensalo diversamente».
___Gli additò la porta che metteva nella cantina. Nuovamente sola, Beatrice sedette davanti al camino interrogando i consumati tarocchi, se mai sarebbe venuto l’uomo sognato, così forte da resistere all’incantesimo della Casina nel bosco, da preferire la soave ed altera bellezza di lei alla voce roca e lamentosa del vegliardo, alle piroette del buffone.

da Elémire Zolla, Che cos’è la tradizione, Adelphi 1998

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